Settimana del cervello
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Cari lettori, bentornati!
Come alcuni di voi sapranno, l’11 marzo si è tenuta, nell’aula 400 dell’università centrale, una conferenza sulle Neuroscienze in onore della settimana del cervello con argomento principale la meditazione e gli effetti di essa sul nostro corpo.
Da alcuni mesi seguo un corso di meditazione a cui ho aderito tramite il progetto “Meditiamo per Pavia, città dell’armonia”. Si tratta di un progetto sperimentale la cui referente è la professoressa Luisa Bernardinelli. L’obbiettivo del progetto è quello di testare, secondo una serie di 10 appuntamenti di meditazione, come essa possa aiutarci a gestire lo stress e a migliorare le nostre attività cognitive.
Il progetto ha diviso i partecipanti in due gruppi diversi, entrambi sottoposti ad un questionario prima e dopo l’inizio della meditazione che andava a testare vari soggetti, come il livello di soddisfazione della propria vita, la percezione di noi stessi e di noi nello spazio.
I primi risultati della ricerca Statistica condotta dalla professoressa Bernardinelli con alcuni ricercatori dell’Università di Pavia sono andati ad analizzare alcuni parametri. Tutti i parametri sono stati misurati prima dell’inizio della meditazione sia sul primo, che sul secondo gruppo ed i risultati preliminari sono derivati dal confronto dei questionari post periodo di meditazione, rispetto ai risultati del gruppo che non ha ancora iniziato a meditare e mediterà nel secondo scaglione.
Il disagio psicologico, misurato come differenza di punteggio media tra il gruppo che ha terminato i tre mesi di meditazione ed il gruppo che non ha meditato, mostra una diminuzione del disagio a favore del benessere e della funzionalità, con diminuzione anche dei sintomi che il disagio psicologico può portare.
I livelli di mindfulness, misurati sempre con gli stessi parametri, sono invece aumentati verso i valori positivi, soprattutto per quanto riguarda l’agire consapevolmente, il non reagire e l’osservare.
I livelli di compassione verso se stessi non hanno subito grandi modifiche, se non per essere più attenti verso l’anti giudizio, ma sappiamo tutti che il giudizio che noi stessi abbiamo nei nostri confronti è sempre il più duro, ci vuole molto più di tre mesi di meditazione per poter rompere la dura corazza che mostriamo verso noi stessi.
La felicità soggettiva mostra invece buoni risultati verso i valori più buoni, indicando un miglioramento nella felicità che ognuno di noi sperimenta. Anche il grado di soddisfazione della nostra vita ha beneficiato di un miglioramento.
Il grado di stress è diminuito invece, il che ha anche portato ad un effetto benefico sul grado di benessere mentale, che è aumentato.
Ho avuto l’opportunità di parlare con la professoressa Concetta Gardi, Ricercatrice in Patologia Generale presso il Dipartimento di Medicina Molecole e dello Sviluppo dell’Università di Siena, che si occupa anche di meditazione in quanto è Istruttrice Senior di protocolli Mindfulness-based e le ho chiesto alcune informazioni sulla meditazione.
Che effetti ha la meditazione, in generale, sul nostro corpo e come può influire sulla nostra mente?
“Chi pratica la meditazione riporta un senso generale di benessere, maggiore calma e capacitàdi concentrazione, nonché una minore reattività agli eventi stressanti della vita. Queste percezioni soggettive sono oggi supportate da migliaia di articoli scientifici che dimostrano come la pratica meditativa sia d’aiuto nella gestione dello stress, ansia e depressione, ma contribuisca anche a migliorare il nostro stato di salute fisica. Sono ricerche condotte in popolazioni cliniche o subcliniche e dimostrano un effetto positivo su parametri fisiologici come il battito cardiaco e la pressione sanguigna, suggerendone un utilizzo ad esempio nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Nelle patologie croniche, la meditazione si è rivelata utile nel migliorare sintomi fisici e psicologici ad esse connesse. Altre ricerche hanno analizzato gli effetti delle pratiche meditative nel trattamento e nella gestione del dolore. Infine, una pratica continuativa migliora le nostre facoltà cognitive rallentando l’invecchiamento cerebrale e diminuendo il rischio di andare incontro a malattie della terza età, come la demenza senile.”
Quali sono i fondamenti scientifici alla base della pratica?
“Nel complesso, gli studi scientifici dimostrano che il principale bersaglio della meditazione è il sistema dello stress. Da un punto di vista fisiologico, la pratica meditativa tende a ridurre l’attivazione del sistema nervoso simpatico (che genera tensione muscolare, nervosa e psicologica) e a potenziare l’azione del sistema nervoso parasimpatico (con un effetto calmante e rilassante), riducendo così la frequenza del respiro, il battito cardiaco e l’ipertensione sanguigna. Da un punto di vista biochimico, diminuisce il cortisolo (che è il principale ormone dello stress), con ricadute positive sullo stato infiammatorio e sulla funzionalità del nostro sistema immunitario. A livello endocrino, la meditazione induce un aumento dei cosiddetti “ormoni del benessere” come la serotonina, la dopamina e l’ossitocina. Inoltre, grazie all’aumento delle endorfine e degli oppioidi endogeni permette di sentire meno la fatica e il dolore.
I risultati preliminari di uno studio da noi condotto all’Università di Siena su persone a rischio di burnoutdimostrano che, già dopo un corso di meditazione Mindfulness di 8 settimane, i partecipanti riportano una riduzione dello stress percepito, minore ansia e depressione, e un aumento di consapevolezza. Questi parametri psicologici si associano, da un punto di vista biologico, alla riduzione del cortisolo e di citochine infiammatorie. Risultati interessanti se si pensa che molte malattie cardiovascolari e neurodegenerative sono legate a uno stato di infiammazione.
Le neuroscienze indicano che la pratica della meditazione può modulare la neuroplasticità cerebrale, influendo sulla struttura e l’attività di regioni del cervello coinvolte soprattutto nel controllo dell’attenzione, regolazione delle emozioni e consapevolezza di sé. “
Prima ci ha detto che la meditazione può modulare la neuroplasticità del cervello, come vengono modificate le nostre onde cerebrali durante la meditazione?
“Per la maggior parte del tempo nel corso della giornata, il nostro cervello emette onde beta che si associano a uno stato mentale di “allerta” in cui si pianifica, si valutano e si classificano le informazioni. Quando si medita si sperimentano vari cambiamenti psicofisici: inizialmente si passa dalle onde beta (pensiero attivo) alle onde alfa, associate ad uno stato di allerta rilassata e al dormiveglia. Successivamente, si fa esperienza di onde teta (associate al subconscio creativo) e infine delta, il livello più profondo. Chi medita in modo regolare riesce a raggiungere un stato di rilassamento profondo proprio perché le onde cerebrali rallentano. Questi cambiamenti variano d’intensità a seconda del livello meditativo raggiunto dal praticante.
Inoltre, aumenta la coerenza elettroencefalografica, cioè la sincronizzazione tra diverse aree del cervello che funzionano come un tutt’uno. Una coerenza elettroencefalografica elevata è associata a maggiore consapevolezza di sé, presenza, centratura, creatività e stabilità emotiva.”
Quali aree del cervello sono soggette alle modificazioni e ai benefici portati dalla meditazione?
“Diversi tipi di meditazione possono avere target differenti nel nostro cervello. Un elemento comune che emerge è l’effetto della pratica meditativa su aree del cervello che in genere sono attivate (o iper-attivate) in risposta allo stress. In generale, possiamo dire che la meditazione agisce su regioni cerebrali deputate all’attenzione, alla concentrazione e alla consapevolezza di sé (come la corteccia prefrontale, la corteccia cingolata anteriore e posteriore), ma anche sulle aree relative alla regolazione delle emozioni (come l’amigdala e l’insula). In un lavoro condotto in collaborazione con il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Siena, abbiamo mostrato, nei partecipanti a un programma di 8 settimane di meditazione, un aumento significativo dello spessore corticale dell’insula e della corteccia somatosensoriale, che si accompagna ad una riduzione significativa di diversi indici psicologici legati alla preoccupazione, ansia, depressione e alessitimia (cioè la l’incapacità di riconoscere ed esprimere il proprio stato emotivo).
Nei soggetti stressati, la meditazione riduce la densitàdi materia grigia dell’amigdala, una struttura cerebrale che gestisce le emozioni ed è fortemente coinvolta nella risposta allo stress. Le immagini di risonanza magnetica funzionale mostrano anche un ispessimento della materia grigia dell’ippocampo, una piccola struttura nel cervello centrale che ha a che fare con la memoria, apprendimento e regolazione emozionale. Infine, vengono influenzate positivamente anche regioni cerebrali associate all’auto-percezione, all’empatia e alla compassione.”
Come avvengono questi processi e come essi vanno a modificare il nostro cervello?
“C’è ancora molto da comprendere su come la meditazione modifichi il cervello. Un elemento comune alle varie tradizioni meditative è la coltivazione della consapevolezza, la capacità di portare e riportare la mente nel presente. Tutti abbiamo esperienza del fatto che la nostra mente tende a vagare tra passato e futuro e difficilmente siamo nel momento presente. Questo vagabondaggio mentale è un aspetto naturale della nostra mente (wandering mind). Tuttavia, come riportato in uno studio del 2010 sulla prestigiosa rivista Science, “la mente umana è una mente che vaga, ma una mente che vaga è una mente infelice”. Durante la meditazione, il Default Mode Network (una rete neurale associata alla wandering mind) viene relativamente disattivato. La pratica meditativa ci aiuta a riconoscere quando non siamo presenti o entriamo nella auto-narrazione, nella rimuginazione, così da poterne uscire fuori. Quanto più pratichiamo, tanto più il nostro Default Mode Network cambia i propri modelli di connettività, cioè come differenti aree del cervello comunicano tra di loro. Essere più consapevoli del momento presente rende più ricca la nostra esperienza e potenzia la capacità di attenzione.”
Abbiamo detto che l’esperienza della meditazione, grazie alla neuroplasticità, può modificare alcune aree del nostro cervello. Studi più recenti dimostrano che la meditazione è anche in grado di creare nuove e migliori connessioni tra aree cerebrali diverse che regolano il nostro comportamento e la gestione emotiva.
Il principale meccanismo ipotizzato riguarda il potenziamento del circuito top-down di controllo sul sistema limbico, in particolare dell’amigdala, da parte della corteccia prefrontale, ma al tempo stesso un maggiore controllo delle informazioni sensoriali che arrivano dall’insula. Nelle persone che praticano meditazione, si osserva una maggiore attivazione delle aree prefrontali e una minore attività dell’amigdala, che si traduce in una minore reattività agli eventi spiacevoli e in una migliore gestione degli stimoli dolorosi. Dal punto di vista emotivo questo si accompagna ad una riduzione dell’ansia.
La nostra comprensione dei meccanismi molecolari della meditazione e dei cambiamenti indotti dalla pratica è ancora agli esordi. Studi recenti suggeriscono che la pratica meditativa è in grado di influenzare sia i meccanismi infiammatori che quelli epigenetici, che sono importanti per i disturbi legati all’umore e allo stress, ma ulteriori ricerche sono necessarie per chiarire in dettaglio questi meccanismi.
Nell’insieme, le pratiche di consapevolezza hanno effetti profondi sulla salute mentale e sono in grado di produrre modifiche comportamentali a livello cognitivo ed emotivo. Hanno anche effetti positivi sulla nostra salute fisica, riducendo lo stress e modulando le risposte infiammatorie ed epigenetiche. E infine, migliorano le nostre relazioni, poiché diminuiscono la reattività e aumentano l’empatia.
Ma questi cambiamenti persistono solo se continuiamo a praticare. In questo senso, la meditazione è una forma di esercizio mentale, non dissimile dall’esercizio fisico. La buona notizia è che quando iniziamo a sperimentare cambiamenti benefici, saremo motivati a continuare a praticare per il resto della tua vita.”
La professoressa ci ha dato una visione scientifica e molto interessante della meditazione, ma vorrei ora raccontarvi la mia esperienza.
Al contrario di ciò che si pensa, meditare non è facile. Come ci ha spiegato la professoressa, la wandering mind tende a farci vagare molto tra futuro e passato, ma essa è anche molto difficile da tenere a bada durante la pratica della meditazione, soprattutto per una novellina come me. Ciò che ho imparato però è di lasciare fluire questi pensieri ed immaginarli come oggetti che se ne vanno con il respiro: immagino spesso, quindi, il mio libro di anatomia, la fisica biomedica e tutte le ansie legate all’università e alla vita che se ne vanno ogni volta che butto fuori l’aria dal mio corpo.
È interessante ed estremamente affascinante pensare a come il nostro respiro, la nostra immaginazione, la nostra concentrazione e la nostra consapevolezza di noi stessi possano farci sentire più leggeri e felici, ma possano anche avere effetti estremamente benefici sul nostro corpo.
La mente è davvero fantastica, alla fine dei conti, è l’oggetto più potente che possiamo possedere.
Sulla mia esperienza personale vi consiglio di provare, ne rimarrete estremamente sorpresi!
Valentina